L’abbazia di San Galgano, un gigantesco scheletro di pietra che riposa in un angolo della campagna senese, possiede un fascino particolare che si colma di mistero ed evoca lontani misticismi, tanto che non riesce a nascondere il proprio glorioso passato e, anzi, si potrebbe dire che lo rafforza.
L’abbazia paradossalmente deve il suo attuale incanto proprio alla sua rovina, ma oltre al particolare e suggestivo stato di conservazione, anche la dimensione sconcerta: un enorme complesso religioso posto in quello che oggi appare come un angolo di remota campagna.
L’abbazia paradossalmente deve il suo attuale incanto proprio alla sua rovina, ma oltre al particolare e suggestivo stato di conservazione, anche la dimensione sconcerta: un enorme complesso religioso posto in quello che oggi appare come un angolo di remota campagna.

Per comprendere i perché di queste caratteristiche dobbiamo guardare indietro nel tempo per fare alcune considerazioni storiche. La nascita di impianti monastici di così grandi dimensioni si giustificava con un’eccezionale espansione di nuovi ordini religiosi all’inizio del XIII secolo. In questi ambienti si muovevano un gran numero di persone che, non cercando l’isolamento, si dedicavano attivamente alla predicazione, quindi, oltre ad ampie strutture conventuali, erano necessarie anche grandi chiese, estesi spazi di raccolta, per ospitare la folla dei fedeli che giungeva ad ascoltare i predicatori e partecipare alle sempre più numerose funzioni religiose.
Nel caso di San Galgano queste motivazioni spiegano solo parte della storia che, per gli eventi che la distinguono, può essere chiamata a pieno titolo leggenda. Il solo percorso umano del santo, presso la cui tomba è stata fondata l’abbazia, basta a giustificare la straordinarietà storica. La mancanza di notizie certe e ben documentate sulla vita del santo ha permesso varie e misteriose interpretazioni sull’uomo che forse rispondeva al nome di Galgano Guidotti da Chiusdino. Pare si trattasse di un cavaliere di nobili origini che nel condurre una vita dissoluta, si convertì per diventare Cavaliere di Dio grazie a due visioni dell’Arcangelo Michele. Così, intorno al 1180 prese l’abito cistercense e si ritirò in romitaggio sul Montesiepi a pochi chilometri dal paese natale. La leggenda vede la trasformazione degli emblemi dello stato sociale in strumenti al servizio del ritiro spirituale: il mantello nobiliare diventa il saio dell’eremita, mentre la spada da portatrice di morte, si trasforma in croce foriera di pace e speranza. Una storia che, con incredibili parallelismi, anticipa le vicissitudini del ciclo bretone di re Artù, analogo cavaliere dalla purezza d’animo cui si aggiunge la curiosa similitudine con la storia della spada e il nome di Galvano.
Il primo passo si compie con la costruzione della Rotonda o Eremo di Montesiepi, costruito subito dopo la morte del santo (nel 1181) in luogo della sua capanna: una struttura atipica rispetto alla tradizione romanica senese. A pianta circolare, con un campaniletto a vela si contraddistingue per la sequenza di fasce cromatiche dovuta all’alternarsi di mattoni e travertino. Strisce bianche e rosse che, in particolare nell’interno, disegnano l’ambiente fino alla chiave di volta della copertura. Qui al centro si trova la famosa spada che la leggenda fa infiggere nella pietra per poterne adorare la croce formata dall’elsa.
Il culto di San Galgano si diffuse in fretta e, infatti, già pochi anni dopo la canonizzazione, i frati cistercensi dell’ordine del santo dettero il via alla costruzione di quello che sarebbe stato il grandioso Monastero di San Galgano. Nel 1201 risultava già attiva la prima comunità di monaci, mentre la costruzione dell’abbazia, che iniziò intorno al 1224, dette poi l’impulso alla vertiginosa affermazione dell’ordine in quelle zone, tanto da soppiantare le comunità benedettine presenti. I monaci di quel monastero divennero un tale punto di riferimento da ottenere concessioni e privilegi da imperatori e papi. Tanto splendore, tuttavia, non poteva resistere a lungo, un calo della popolazione religiosa, un’epidemia di peste e le eterne battaglie tra senesi e fiorentini, che oltre al profano non risparmiavano nemmeno il sacro, contribuirono ad avviare un lento e inesorabile declino. A queste motivazioni dobbiamo aggiungere anche un’amministrazione incerta e farraginosa, e la disputa che proprio la potenza del monastero aveva acceso tra la Repubblica di Siena e il Papato, tutti fatti che favorirono il graduale abbandono. Già nel 1576 era in totale stato di incuria, e nel ‘700 cominciarono ad aprirsi grandi crepe fino al crollo del campanile e dell’intera copertura.
Nel caso di San Galgano queste motivazioni spiegano solo parte della storia che, per gli eventi che la distinguono, può essere chiamata a pieno titolo leggenda. Il solo percorso umano del santo, presso la cui tomba è stata fondata l’abbazia, basta a giustificare la straordinarietà storica. La mancanza di notizie certe e ben documentate sulla vita del santo ha permesso varie e misteriose interpretazioni sull’uomo che forse rispondeva al nome di Galgano Guidotti da Chiusdino. Pare si trattasse di un cavaliere di nobili origini che nel condurre una vita dissoluta, si convertì per diventare Cavaliere di Dio grazie a due visioni dell’Arcangelo Michele. Così, intorno al 1180 prese l’abito cistercense e si ritirò in romitaggio sul Montesiepi a pochi chilometri dal paese natale. La leggenda vede la trasformazione degli emblemi dello stato sociale in strumenti al servizio del ritiro spirituale: il mantello nobiliare diventa il saio dell’eremita, mentre la spada da portatrice di morte, si trasforma in croce foriera di pace e speranza. Una storia che, con incredibili parallelismi, anticipa le vicissitudini del ciclo bretone di re Artù, analogo cavaliere dalla purezza d’animo cui si aggiunge la curiosa similitudine con la storia della spada e il nome di Galvano.
Il primo passo si compie con la costruzione della Rotonda o Eremo di Montesiepi, costruito subito dopo la morte del santo (nel 1181) in luogo della sua capanna: una struttura atipica rispetto alla tradizione romanica senese. A pianta circolare, con un campaniletto a vela si contraddistingue per la sequenza di fasce cromatiche dovuta all’alternarsi di mattoni e travertino. Strisce bianche e rosse che, in particolare nell’interno, disegnano l’ambiente fino alla chiave di volta della copertura. Qui al centro si trova la famosa spada che la leggenda fa infiggere nella pietra per poterne adorare la croce formata dall’elsa.
Il culto di San Galgano si diffuse in fretta e, infatti, già pochi anni dopo la canonizzazione, i frati cistercensi dell’ordine del santo dettero il via alla costruzione di quello che sarebbe stato il grandioso Monastero di San Galgano. Nel 1201 risultava già attiva la prima comunità di monaci, mentre la costruzione dell’abbazia, che iniziò intorno al 1224, dette poi l’impulso alla vertiginosa affermazione dell’ordine in quelle zone, tanto da soppiantare le comunità benedettine presenti. I monaci di quel monastero divennero un tale punto di riferimento da ottenere concessioni e privilegi da imperatori e papi. Tanto splendore, tuttavia, non poteva resistere a lungo, un calo della popolazione religiosa, un’epidemia di peste e le eterne battaglie tra senesi e fiorentini, che oltre al profano non risparmiavano nemmeno il sacro, contribuirono ad avviare un lento e inesorabile declino. A queste motivazioni dobbiamo aggiungere anche un’amministrazione incerta e farraginosa, e la disputa che proprio la potenza del monastero aveva acceso tra la Repubblica di Siena e il Papato, tutti fatti che favorirono il graduale abbandono. Già nel 1576 era in totale stato di incuria, e nel ‘700 cominciarono ad aprirsi grandi crepe fino al crollo del campanile e dell’intera copertura.

L’abbazia può essere annoverata a pieno titolo tra i più importanti esempi di Gotico in Toscana e in Italia. La denominazione “gotico”, coniata da Vasari, definisce con polemica e disprezzo un’arte che egli ineluttabilmente associava a qualcosa di barbaro. Si tratta dello stile nato e mirabilmente sviluppato in Francia nel XII secolo, difficilmente definibile in modo univoco perché caratterizzato da svariate riletture locali.
In Italia alcuni decisivi fattori ne condizionarono l’ingresso: l’eredità classica e la tradizione romanica ben radicate non favorirono la libera ricezione delle ardite novità tecniche degli architetti d’oltralpe. Si trattava di uno stile che, in nome di un’assoluta verticalità e leggerezza, entrava in forte contrasto con il rigore sereno, massiccio e “orizzontale” del romanico unanimemente accettato.
Un altro fattore che condizionò l’ingresso del gotico fu anche l’impronta data dal principale vettore di questa importazione stilistica, l’ordine benedettino cistercense. I principali esempi di gotico nella penisola sono tutti relativi a quest’ordine e tutti ne portano la caratteristica tipica: l’incessante ricerca del rigore che, per estensione, nell’architettura punta alla purezza della semplicità formale.
I principali elementi gotici così, penetrarono sì in Italia, ma severamente spogliati della caratteristica aerea leggerezza ed essenzialmente “applicati” su strutture nella sostanza ancora romaniche.
Tuttavia non si trattava solo di inerzia culturale, furono molti i fattori condizionanti, non ultimo anche quello climatico. La consueta massiccia muratura romanica, oltre a offrire ampio spazio alla decorazione “a fresco”, scongiurava i fastidiosi effetti del ben più caldo clima italiano, disagi che invece, si sarebbero potuti verificare con il “gotico” alleggerimento tendente alla “scheletrizzazione” delle strutture murarie, quella riduzione all’essenziale necessaria ad aprire le straordinarie e peculiari vetrate.
Un altro fattore che condizionò l’ingresso del gotico fu anche l’impronta data dal principale vettore di questa importazione stilistica, l’ordine benedettino cistercense. I principali esempi di gotico nella penisola sono tutti relativi a quest’ordine e tutti ne portano la caratteristica tipica: l’incessante ricerca del rigore che, per estensione, nell’architettura punta alla purezza della semplicità formale.
I principali elementi gotici così, penetrarono sì in Italia, ma severamente spogliati della caratteristica aerea leggerezza ed essenzialmente “applicati” su strutture nella sostanza ancora romaniche.
Tuttavia non si trattava solo di inerzia culturale, furono molti i fattori condizionanti, non ultimo anche quello climatico. La consueta massiccia muratura romanica, oltre a offrire ampio spazio alla decorazione “a fresco”, scongiurava i fastidiosi effetti del ben più caldo clima italiano, disagi che invece, si sarebbero potuti verificare con il “gotico” alleggerimento tendente alla “scheletrizzazione” delle strutture murarie, quella riduzione all’essenziale necessaria ad aprire le straordinarie e peculiari vetrate.

In generale poi, i cistercensi si attenevano rigidamente al prototipo della casa-madre di Cîteaux, vicino a Digione in Borgogna, È così che certe chiese, e più esemplarmente quelle abbaziali, assunsero quelle caratteristiche di imponenza e disadorna austerità che troviamo in Italia, come nel caso dell’abbazia di San Galgano che, alla stessa stregua delle precedenti realizzazioni di Fossanova e Casamari, riporta i fondamenti dell’architettura dell’ordine, dall’impianto a croce latina all’aspetto di un gotico più sobrio dei modelli francesi.
La grande chiesa si compone di un corpo principale a tre navate in cui è stato dato ampio risalto alla parte mediana, molto alta e ariosa e in netto contrasto con l’oscurità delle parti laterali, aspetto questo, oggi esaltato dalla mancanza delle volte di copertura che permette alla luce di invadere completamente l’ambiente centrale. La croce latina si completa con un ampio transetto a tre navate con due campate per braccio a formare quattro cappelle ai lati dell’altare. A parte la singolarità della conservazione, lo schema generale riflette quel particolare misticismo che controlla gli entusiasmi e i fervori e che accanto a ogni slancio ricorda sempre la realtà. Sulla destra della chiesa si trovano i resti del complesso monastico: la Sala capitolare, la grande Sala dei monaci, un piccolo tratto del chiostro, mentre al piano superiore un lungo corridoio organizzava le sedici celle e il coro notturno dei monaci.
La visita all’Abbazia di San Galgano è un’esperienza che certamente si fa ricordare, l’appartata delicatezza della campagna senese rende suggestivo quanto sorprendente l’incontro: il rudere di questo splendido e raro esempio di gotico conserva ancora una maestosità che sbalordisce.
Il particolare stato di conservazione, inoltre, non fa che aggiungere un pizzico di nostalgica magia che proietta in tempi lontani e narra di grandezze perdute avvolgendo tutto di un velo di mistero che immediatamente coinvolge e affascina. *fotografa e scrittrice
La grande chiesa si compone di un corpo principale a tre navate in cui è stato dato ampio risalto alla parte mediana, molto alta e ariosa e in netto contrasto con l’oscurità delle parti laterali, aspetto questo, oggi esaltato dalla mancanza delle volte di copertura che permette alla luce di invadere completamente l’ambiente centrale. La croce latina si completa con un ampio transetto a tre navate con due campate per braccio a formare quattro cappelle ai lati dell’altare. A parte la singolarità della conservazione, lo schema generale riflette quel particolare misticismo che controlla gli entusiasmi e i fervori e che accanto a ogni slancio ricorda sempre la realtà. Sulla destra della chiesa si trovano i resti del complesso monastico: la Sala capitolare, la grande Sala dei monaci, un piccolo tratto del chiostro, mentre al piano superiore un lungo corridoio organizzava le sedici celle e il coro notturno dei monaci.
La visita all’Abbazia di San Galgano è un’esperienza che certamente si fa ricordare, l’appartata delicatezza della campagna senese rende suggestivo quanto sorprendente l’incontro: il rudere di questo splendido e raro esempio di gotico conserva ancora una maestosità che sbalordisce.
Il particolare stato di conservazione, inoltre, non fa che aggiungere un pizzico di nostalgica magia che proietta in tempi lontani e narra di grandezze perdute avvolgendo tutto di un velo di mistero che immediatamente coinvolge e affascina. *fotografa e scrittrice