ACPST
  • HOME
  • ATTIVITà
    • DANTE METROPOLITANO
  • SOCI & PARTNERS
  • acpst news
  • CONTATTI

ANTARTIDE E GHIACCIO: LA LUNGA STORIA DEI CAMBIAMENTI CLIMATICI

8/27/2018

0 Commenti

 

Conferenza di Valter Maggi, Professore Associato, Dipartimento Scienze dell’Ambiente e del Territorio – Università di Milano-Bicocca

OPC – Osservatorio Polifunzionale del Chianti
Venerdì 31 agosto, ore 21.30
Ingresso libero

Foto
Arte, fotografia e ambiente si intrecciano nell’evento che offre un approfondimento di cultura scientifica organizzato dall’Osservatorio Poifunzionale del Chianti fiorentino. Venerdì 31 agosto alle ore 21.30 la struttura, diretta dall’astrofisico Emanuele Pace, ospita uno dei più illustri esponenti del mondo universitario italiano. E’ Valter Maggi, professore di Scienze dell’Ambiente e del Territorio all’Università di Milano – Bicocca, protagonista della serata alla guida della conferenza Antartide e ghiaccio: la lunga storia dei cambiamenti climatici. L’iniziativa  si inquadra nella mostra che espone alcuni dei capolavori del foto-repoter belga Etienne Pierart. Il silenzio dei Poli, aperta fino al 16 settembre, è curata dalla storica dell’arte Giada Rodani. Nel corso della conferenza Valter Maggi “racconterà” i risultati delle ricerche da lui condotte in Antartide, attraverso le quali è arrivato a ricostruire la storia del clima, ad analizzare la sua evoluzione storica, facendo in parallelo dei confronti con il presente e delle proiezioni per il futuro. Al termine seguirà l’osservazione del cielo con i telescopi. L’iniziativa è posta sotto il patrocinio dell’Unione Comunale del Chianti Fiorentino e copromossa con ACPST – Associazione Culturale di Promozione Sociale Toscana.
Foto
Valter Maggi. Professore Associato presso il Dipartimento di Scienze dell’Ambiente e del Territorio dell’Università di Milano-Bicocca. Svolge attività di ricerca nei settori climatici e paleoclimatici, studiando l'evoluzione nel tempo del particolato atmosferico contenuto nei depositi di ghiaccio con riferimento alle sue sorgenti e ai meccanismi di trasporto e deposizione. L'attività ha riguardato l'Emisfero Sud, nei rapporti tra l'Antartide Orientale e le masse continentali del Sud America e dell'Australia; il Bacino del Mediterraneo, con riguardo ai trasporti dalla Pianura Padana e dal Nord Africa; le aree dell’Europa Orientale, con particolare riguardo all'area del bacino Pannonico. E' responsabile dell'Unità Operativa locale del progetto PNRA “Paleoclima e paleoambiente dalla stratigrafia chimica e fisica di carote di ghiaccio”, Coordinatore Prof. Roberto Udisti (Università di Firenze), sullo studio dei campioni di ghiaccio provenienti da Dome C. Dal 2004 è responsabile Italiano nel progetto della UE “European Project for Ice Core in Antarctica-Marine Ice core Synchronization (EPICA-MIS)”, coordinatore il Prof. Dominique Raynaud (CNRS-Grenoble, Francia) sullo studio dei record climatici provenienti dalla perforazione di Dome C e confronto con i record marini circumantartici.

Foto
Etienne Pierart. Nato nel 1960 a Bruxelles, ha partecipato, in qualità di foto-repoter, a numerose spedizioni scientifiche internazionali, tra cui alcune della NASA, è stato quattro volte in Antartide tra il 2004 e il 2012, e cinque volte nell’Artico, dove, tra il 2005 e il 2017, ha visitato la Groenlandia, le Isole Svalbard,  nonché viaggiato attraverso lo stretto di Bering sulla nave rompighiaccio russa Kapitan Khlebnikov. Ha lavorato per le Nazioni Unite e per la Banca Mondiale in sei differenti paesi (Honduras, Botswana, Ginevra, Svizzera, Stati Uniti, Kosovo, Bosnia ed Erzegovina) e in altre parti del mondo travagliate da conflitti. Ha visitato più di 90 paesi e trae la maggior parte della sua ispirazione dai suoi viaggi e spedizioni verso i Poli artico e antartico. La sua opera d’autore affronta vari soggetti, che lui non smette mai di indagare attraverso avventurosi viaggi: l’universo polare, le guerre e i conflitti, il vivere quotidiano nelle differenti culture. È anche interessato alla sensualità del corpo nudo in movimento così come agli alberi e alle forme della natura, agli sport e alle arti marziali. Oltre all’utilizzo di tecniche digitali, Etienne lavora ed elabora la sua fotografia con metodi antichi: dal processo al carbone Fresson con argento e oro, al disegno su pietra per litografie e stampe, o disegno con platino e palladio. L’opera di Etienne Pierart non si limita alla fotografia. Ha diretto diversi documentari, sul tango argentino, sul balletto in Corea del Sud e in Giappone, sulla Capoeira angolana a Salvador de Bahia in Brasile e sul Taekwondo in Corea del Sud. Membro della Société des Artistes Français, della Société Nationale des Beaux Arts (SNBA) e del Salon d’Automne, vive e lavora tra Aix-en-Provence, Ginevra e Bruxelles.

Foto
Il Silenzio dei Poli. L’esposizione è il risultato di anni di viaggi e ricerche che Pierart ha compiuto al Polo Nord e al Polo Sud. Le opere fotografiche di Etienne Pierart raccontano di viaggi audaci e imprevedibili, in cui le forze della natura – il vento e i ghiacci in particolare – mettono costantemente a rischio la riuscita di una spedizione. Sono anche storie di mondi lontani che l’artista ha documentato tanto con lo sguardo documentaristico del reporter che con quello poetico dell’uomo messo a confronto con un immenso deserto ghiacciato, sul quale aleggia un silenzio sacro, dove un profondo senso di estraniamento e solitudine attiva una connessione più intima con se stessi e con il pianeta. Nel corso di questi viaggi Etienne ha avuto modo di osservare con i suoi occhi le stravolgenti conseguenze del riscaldamento globale, il ridursi – anno dopo anno – della superficie dei ghiacci, la drastica trasformazione del paesaggio polare, degli animali e delle piante che ci vivono. I Poli rappresentati da Etienne Pierart sono il riflesso stesso dell’incerto futuro della nostra Umanità. Queste fotografie hanno in sé una triplice valenza: raccontano i Poli nella loro potente e sublime bellezza, ma anche la tragica attualità degli effetti del global warming e il loro identificarsi come nuova frontiera della scienza e della ricerca. La mostra sarà visitabile fino al 16 settembre.

Foto
OPC – Osservatorio Polifunzionale del Chianti. Inaugurato nel 2010 da Margherita Hack, l’Osservatorio si trova all’interno del Parco Botanico del Chianti, a Barberino Val d’Elsa, Firenze. Centro di eccellenza per la ricerca scientifica, la struttura svolge al contempo attività didattico-formative e di divulgazione scientifica. L’OPC dispone di 3 osservatori: Astronomico (dotato di strumentazioni all’avanguardia, tra cui il telescopio Marcon da 80 cm di diametro, che è il più grande della Toscana), Geo-sismico (che si avvale di una moderna stazione di monitoraggio sull’attività sismica nazionale) e Metereologico (dotato di una stazione meteo professionale, a cui si affianca una stazione agrometereologica, che fornisce dati meteo utili agli agronomi per migliorare le coltivazioni). E’ uno dei più innovativi luoghi d’incontro aperto a professionisti della ricerca, appassionati (organizzati nelle sezioni Ambientale, Astrofili, Sentinelle Meteo e Arti Visive) e visitatori, anche diversamente abili. I percorsi di visita, diurni e serali, offrono un’ampia gamma di scelta. Tra i tanti, segnaliamo il primo e unico percorso italiano multisensoriale (tattile e uditivo) per non vedenti, inaugurato nel 2016 da Andrea Bocelli.
 
OPC – Osservatorio Polifunzionale del Chianti
S.P. 101 di Castellina in Chianti Km 9.25, 50021 Barberino Val d'Elsa – Firenze
Coordinate GPS: 43.523099 / 11.244836
Info: 333 119 2517 / info@osservatoriochianti.it

0 Commenti

San Galgano un’espressione di gotico italiano tra misticismo e mistero di Francesca Bardi*

8/10/2018

0 Commenti

 
Foto
L’abbazia di San Galgano, un gigantesco scheletro di pietra che riposa in un angolo della campagna senese, possiede un fascino particolare che si colma di mistero ed evoca lontani misticismi, tanto che non riesce a nascondere il proprio glorioso passato e, anzi, si potrebbe dire che lo rafforza.
L’abbazia paradossalmente deve il suo attuale incanto proprio alla sua rovina, ma oltre al particolare e suggestivo stato di conservazione, anche la dimensione sconcerta: un enorme complesso religioso posto in quello che oggi appare come un angolo di remota campagna.
Foto
Per comprendere i perché di queste caratteristiche dobbiamo guardare indietro nel tempo per fare alcune considerazioni storiche. La nascita di impianti monastici di così grandi dimensioni si giustificava con un’eccezionale espansione di nuovi ordini religiosi all’inizio del XIII secolo. In questi ambienti si muovevano un gran numero di persone che, non cercando l’isolamento, si dedicavano attivamente alla predicazione, quindi, oltre ad ampie strutture conventuali, erano necessarie anche grandi chiese, estesi spazi di raccolta, per ospitare la folla dei fedeli che giungeva ad ascoltare i predicatori e partecipare alle sempre più numerose funzioni religiose.
Nel caso di San Galgano queste motivazioni spiegano solo parte della storia che, per gli eventi che la distinguono, può essere chiamata a pieno titolo leggenda. Il solo percorso umano del santo, presso la cui tomba è stata fondata l’abbazia, basta a giustificare la straordinarietà storica. La mancanza di notizie certe e ben documentate sulla vita del santo ha permesso varie e misteriose interpretazioni sull’uomo che forse rispondeva al nome di Galgano Guidotti da Chiusdino. Pare si trattasse di un cavaliere di nobili origini che nel condurre una vita dissoluta, si convertì per diventare Cavaliere di Dio grazie a due visioni dell’Arcangelo Michele. Così, intorno al 1180 prese l’abito cistercense e si ritirò in romitaggio sul Montesiepi a pochi chilometri dal paese natale. La leggenda vede la trasformazione degli emblemi dello stato sociale in strumenti al servizio del ritiro spirituale: il mantello nobiliare diventa il saio dell’eremita, mentre la spada da portatrice di morte, si trasforma in croce foriera di pace e speranza. Una storia che, con incredibili parallelismi, anticipa le vicissitudini del ciclo bretone di re Artù, analogo cavaliere dalla purezza d’animo cui si aggiunge la curiosa similitudine con la storia della spada e il nome di Galvano.
Il primo passo si compie con la costruzione della Rotonda o Eremo di Montesiepi, costruito subito dopo la morte del santo (nel 1181) in luogo della sua capanna: una struttura atipica rispetto alla tradizione romanica senese. A pianta circolare, con un campaniletto a vela si contraddistingue per la sequenza di fasce cromatiche dovuta all’alternarsi di mattoni e travertino. Strisce bianche e rosse che, in particolare nell’interno, disegnano l’ambiente fino alla chiave di volta della copertura. Qui al centro si trova la famosa spada che la leggenda fa infiggere nella pietra per poterne adorare la croce formata dall’elsa.
Il culto di San Galgano si diffuse in fretta e, infatti, già pochi anni dopo la canonizzazione, i frati cistercensi dell’ordine del santo dettero il via alla costruzione di quello che sarebbe stato il grandioso Monastero di San Galgano. Nel 1201 risultava già attiva la prima comunità di monaci, mentre la costruzione dell’abbazia, che iniziò intorno al 1224, dette poi l’impulso alla vertiginosa affermazione dell’ordine in quelle zone, tanto da soppiantare le comunità benedettine presenti. I monaci di quel monastero divennero un tale punto di riferimento da ottenere concessioni e privilegi da imperatori e papi. Tanto splendore, tuttavia, non poteva resistere a lungo, un calo della popolazione religiosa, un’epidemia di peste e le eterne battaglie tra senesi e fiorentini, che oltre al profano non risparmiavano nemmeno il sacro, contribuirono ad avviare un lento e inesorabile declino. A queste motivazioni dobbiamo aggiungere anche un’amministrazione incerta e farraginosa, e la disputa che proprio la potenza del monastero aveva acceso tra la Repubblica di Siena e il Papato, tutti fatti che favorirono il graduale abbandono. Già nel 1576 era in totale stato di incuria, e nel ‘700 cominciarono ad aprirsi grandi crepe fino al crollo del campanile e dell’intera copertura.

Foto
L’abbazia può essere annoverata a pieno titolo tra i più importanti esempi di Gotico in Toscana e in Italia. La denominazione “gotico”, coniata da Vasari, definisce con polemica e disprezzo un’arte che egli ineluttabilmente associava a qualcosa di barbaro. Si tratta dello stile nato e mirabilmente sviluppato in Francia nel XII secolo, difficilmente definibile in modo univoco perché caratterizzato da svariate riletture locali.

Foto
In Italia alcuni decisivi fattori ne condizionarono l’ingresso: l’eredità classica e la tradizione romanica ben radicate non favorirono la libera ricezione delle ardite novità tecniche degli architetti d’oltralpe. Si trattava di uno stile che, in nome di un’assoluta verticalità e leggerezza, entrava in forte contrasto con il rigore sereno, massiccio e “orizzontale” del romanico unanimemente accettato.
Un altro fattore che condizionò l’ingresso del gotico fu anche l’impronta data dal principale vettore di questa importazione stilistica, l’ordine benedettino cistercense. I principali esempi di gotico nella penisola sono tutti relativi a quest’ordine e tutti ne portano la caratteristica tipica: l’incessante ricerca del rigore che, per estensione, nell’architettura punta alla purezza della semplicità formale.
I principali elementi gotici così, penetrarono sì in Italia, ma severamente spogliati della caratteristica aerea leggerezza ed essenzialmente “applicati” su strutture nella sostanza ancora romaniche.
Tuttavia non si trattava solo di inerzia culturale, furono molti i fattori condizionanti, non ultimo anche quello climatico. La consueta massiccia muratura romanica, oltre a offrire ampio spazio alla decorazione “a fresco”, scongiurava i fastidiosi effetti del ben più caldo clima italiano, disagi che invece, si sarebbero potuti verificare con il “gotico” alleggerimento tendente alla “scheletrizzazione” delle strutture murarie, quella riduzione all’essenziale necessaria ad aprire le straordinarie  e peculiari vetrate.
Foto
In generale poi, i cistercensi si attenevano rigidamente al prototipo della casa-madre di Cîteaux, vicino a Digione in Borgogna, È così che certe chiese, e più esemplarmente quelle abbaziali, assunsero quelle caratteristiche di imponenza e disadorna austerità che troviamo in Italia, come nel caso dell’abbazia di San Galgano che, alla stessa stregua delle precedenti realizzazioni di Fossanova e Casamari, riporta i fondamenti dell’architettura dell’ordine, dall’impianto a croce latina all’aspetto di un gotico più sobrio dei modelli francesi.
La grande chiesa si compone di un corpo principale a tre navate in cui è stato dato ampio risalto alla parte mediana, molto alta e ariosa e in netto contrasto con l’oscurità delle parti laterali, aspetto questo, oggi esaltato dalla mancanza delle volte di copertura che permette alla luce di invadere completamente l’ambiente centrale. La croce latina si completa con un ampio transetto a tre navate con due campate per braccio a formare quattro cappelle ai lati dell’altare. A parte la singolarità della conservazione, lo schema generale riflette quel particolare misticismo che controlla gli entusiasmi e i fervori e che accanto a ogni slancio ricorda sempre la realtà. Sulla destra della chiesa si trovano i resti del complesso monastico: la Sala capitolare, la grande Sala dei monaci, un piccolo tratto del chiostro, mentre al piano superiore un lungo corridoio organizzava le sedici celle e il coro notturno dei monaci.
La visita all’Abbazia di San Galgano è un’esperienza che certamente si fa ricordare, l’appartata delicatezza della campagna senese rende suggestivo quanto sorprendente l’incontro: il rudere di questo splendido e raro esempio di gotico conserva ancora una maestosità che sbalordisce.
Il particolare stato di conservazione, inoltre, non fa che aggiungere un pizzico di nostalgica magia che proietta in tempi lontani e narra di grandezze perdute avvolgendo tutto di un velo di mistero che immediatamente coinvolge e affascina. *fotografa e scrittrice

0 Commenti

    Archives

    Novembre 2020
    Giugno 2019
    Maggio 2019
    Dicembre 2018
    Novembre 2018
    Ottobre 2018
    Settembre 2018
    Agosto 2018
    Maggio 2018
    Aprile 2018
    Marzo 2018
    Febbraio 2018
    Gennaio 2018
    Novembre 2017
    Settembre 2017
    Luglio 2017
    Maggio 2017
    Aprile 2017
    Marzo 2017
    Novembre 2016
    Ottobre 2016
    Agosto 2016

    Categorie

    Tutto
    Acpst
    Arte Terapia
    Medicina
    Ottobre 2016

Dove siamo 

ACPST - Associazione Culturale di Promozione Sociale Toscana
Canonica 16, Fabruzzo 
​50022 Greve  in Chianti  - Firenze

    Lasciaci la tua e-mail per essere aggiornato sulle nostre iniziative

invio
Seguici su Facebook 
Foto
Foto

Vuoi aiutarci?

Effettua una donazione libera tramite conto corrente:
IBAN IT 08 E 08673 38050 020000205621

Copyright © ACPST 2016      |      C. F. 94253720489     |     P. IVA 06594040484    |     E-mail:  info.acpst@gmail.com     |     Cell.  +39 333 222 6171

  • HOME
  • ATTIVITà
    • DANTE METROPOLITANO
  • SOCI & PARTNERS
  • acpst news
  • CONTATTI